Quella notte

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Senza titoloCecilia Gattullo

Com’era freddo il letto che mi accolse quella notte, lenzuola ben tese, senza il calore di quelle pieghe che fanno casa. Sola in quella grande camera di ospedale, la porta chiusa, ma non a chiave, sveglia nell’impossibilità di abbandonarmi al sonno.

Era stata disponibile la suora monitrice della scuola per infermieri professionali a permettermi di passare lì la notte, senza farmi assaggiare l’abbandono delle strade vuote. Certo sarei potuta andare in albergo, ma a quell’ora della sera non avrei saputo neppure in quale, e poi, quel che mi serviva erano parole per il mio cuore stanco di star solo e non un posto dove chiudere gli occhi e la mente. Non volevo zittire i miei pensieri, ma solo il dolore che mi veniva dall’idea di aver sbagliato tutto. Ero venuta a Torino con l’illusione di trovare una madre, un seno accogliente e protettivo dove rifugiarmi, e da cui ripartire più forte. Avrei voluto dare, finalmente, un senso a tale figura, ma forse la mia incapacità di comprendere il significato di quella parola mi impediva di vedere oltre le debolezze di chi quel ruolo stentava a dimostrarmi.

Avevo preso i libri che mi sarebbero serviti il giorno successivo a scuola ed ero uscita di corsa, ostentando un rifiuto per la sua casa e per lei soprattutto. Il mio ragazzo era fuori città per lavoro e di amiche da cui andare non me ne erano venute in mente. Un po’ avevo passeggiato alla ricerca del nulla, forse solo di autocommiserazione che mi desse la forza di andar via per sempre, ma anche quella giusta dose di orgoglio che mi impedisse di ritornare indietro e elemosinare il calumet della pace, mostrando accondiscendenza per tutta l’incomprensione ricevuta. Forte, però, era stata l’esigenza di un volto a cui guardare e parlare di me, un’anima pronta ad ascoltarmi, ricevendo le mie domande. Per questo avevo pensato a suor Graziella, per questo avevo bussato alla porta della casa dove abitava con le altre suore proprietarie dell’ospedale presso cui studiavo. Lei, però, non era venuta giù, ma mi aveva parlato solo attraverso il citofono, indirizzandomi presso una certa caposala per farmi sistemare in una delle stanze nuove non ancora utilizzate. E io avevo accettato di buon grado senza fare domande, consapevole di dover dire solo grazie e tacere su quelle che erano le mie necessità. E in fin dei conti forse era stato meglio così, perché in quel modo non ero stata costretta a fornire troppe giustificazioni, ricercando in me stessa fondamenta solide per la mia ribellione, e magari sminuendo le mie ragioni.

La notte passò lentamente e il mattino presto mi ritrovai seduta in sala d’attesa ad aspettare che arrivasse il momento di andare a scuola. Nel pomeriggio, tornai a casa, come sempre, senza far parola dell’accaduto, e senza ricevere domande in proposito. Nessuna preoccupazione venne mostrata, di certo mia madre doveva aver pensato ad una mia notte d’amore, e che quella mia uscita nervosa di scena non fosse stata altro che una scusa, un alibi per fare ciò che mi pareva senza dar conto a nessuno, tanto meno a lei…

Ringrazio Cecilia Gattullo per il suo quadro. Ancora una volta una sua opera ha risvegliato in me ricordi ed emozioni…

Il ricordo di quella notte è legato a un film che avevo visto al cinema la sera prima. Un film che è rimasto nel mio cuore, come le emozioni che mi ha dato.

45 pensieri su “Quella notte

    • Non si può comprendere ciò che non si ascolta, che non si vuol sapere. Se si prende atto di questo, si riesce anche a trovare un compromesso in grado di zittire le proprie aspettative. La forza viene solo e sempre dalla consapevolezza di sé e di come dovrebbe essere il corso delle cose, naturale… come la vita

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  1. Espressivamente sempre molto intensa, mia cara amica: riesci a far toccare con mano quei travagli che ti hanno assillato in un certo periodo della tua vita…
    Il film, poi è straordinario: visto e rivisto, oltre che trovarlo appropriato, come atmosfera, per il tuo racconto…
    Un fortissimo abbraccio

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