Tempo sospeso

In Sospeso - Cecilia Gattullo
In SospesoCecilia Gattullo

23 novembre 1980, terremoto dell’Irpinia. Sono passati trentacinque anni, ma sembra ieri.
Se nel racconto pubblicato sul Fatto Quotidiano in occasione dei trent’anni dal terremoto mi ero soffermata su quegli eventi che tanto influirono nel corso della mia vita, vorrei ora sottolineare ciò che ha significato quella esperienza e cosa mi ha lasciato.

Sono cresciuta in una terra, dove le scosse sismiche sono conosciute e comprese per ciò che sono: un episodio saltuario che ti smuove i nervi, ti incute paura, ma che non ti lascia troppo sconvolgimento. Sai che forse seguiranno altre scosse, ma sai anche che nulla puoi per sfuggire all’emozione. Da bambina, anch’io ne avevo avvertite, tra tutte quella del 9 maggio del 1976, tre giorni dopo il terremoto in Friuli. Chissà, forse per invidia, il terreno che avevamo sotto i piedi ci volle ricordare che non era da meno.
Durante il sisma ti scopri sorpreso per ciò che accade, così all’improvviso, ti senti avvilito e impotente, e chiudi gli occhi, cercando di isolare il cuore dagli eventi. E alla fine pensi: “Anche questa volta ci è andata bene!”, aggiungendo una tacca all’elenco di scosse avvertite, quasi come un vanto da raccontare. Se il terremoto è di breve durata, la cosa si risolve in fretta e riesci a tornare alla normalità con una certa tranquillità, ma se i secondi sono 90 allora tutto cambia, perché in quei 90 secondi avrai avuto il tempo di memorizzare ogni sensazione, ogni pensiero, ricordi indelebili che non perderai più. Avrai guardato bene in te stesso scoprendo aspetti che non avevi considerato prima, venendo a contatto con le tue debolezze, ma anche con la tua forza e la tua volontà di agire. Sarà una prova a cui vieni sottoposto e che ti dà solo due scelte: uscirne sconfitto o vincente, dove per vincente si intende solo sopravvivenza, adattamento e non vittoria, perché, in questo caso, di vittoria non ci può essere traccia.

Del terremoto mi sono rimaste l’emergenza a dir poco infinita, la precarietà degli alloggi, la convivenza forzata, ma anche la perdita della mia identità, una ricollocazione del mio ruolo nella società, una crescita improvvisa e pretesa che mi ha portato a perdere la sicurezza in me stessa e in ciò che mi spettava. Una vita sospesa per anni, dove l’orologio non segnava le ore e neppure i giorni, ma i mesi e gli anni, e dove l’obiettivo non era pianificare un futuro, ma solo vivere giorno per giorno, tanto per fare qualcosa.
Di colpo ho perso i miei sogni, le mie certezze, i piani che avevo fatto e la voglia di pensarci ancora. Mi son ritrovata a raccattare poche cose, a badarci come un tesoro e ad aver necessità di elemosinare un aiuto mettendo da parte l’orgoglio. Ho dovuto spartire il sonno e la quotidianità con persone sconosciute e accettare compromessi che mai avrei considerato. Donne e uomini costretti a convivere in aule scolastiche, stipati oltre ogni convenienza, con i letti degli uni che quasi toccavano gli altri e gli orari che non sempre trovavano un accordo. Gabinetti usati da famiglie intere che mal tutelavano l’intimità e rendevano la convivenza ancora più insopportabile. E l’abitudine, o necessità, a vestirsi sempre con le stesse cose, perché una scatola o una valigia non potevano contenere più di tanto. Un anno speso nell’incertezza della durata, senza nulla che potesse rappresentare vita normale, ma che ormai era diventato la nostra vita reale.

Un po’ meglio è andata nell’anno in cui ho vissuto nel prefabbricato, perché in quella piccola casetta di legno ho ritrovato l’intimità di una casa, la mia. Un luogo da arredare con i mobili recuperati nell’appartamento che eravamo stati costretti a lasciare, con spazi divisi in camere e un bagno dove fare una doccia. E una volta chiusa la porta il mondo rimaneva fuori con tutte le sue ingerenze e intromissioni. Un periodo che potrei considerare quindi più rilassante, se non fosse stato per il freddo che la lana di vetro non riusciva a tener fuori e il vento che ti urlava nelle orecchie minacciando di portare via il tetto e tutto il resto. Notti passate con berretti di lana a riparare la testa, le coperte strette al collo, e l’impossibilità di prendere sonno per la paura di una natura inclemente. Senza contare l’umidità che ti entrava nelle ossa e ti bloccava a letto per giorni con insopportabili dolori. Nonostante questo, però, posso considerare quel periodo anche divertente, perché mi sentivo una bambola nella sua casa, per tutto quel legno e per la struttura che ricordava una baita di montagna, per gli alberi di nocciole che circondavano quel piccolo villaggio e per un pezzettino di terra che il comune aveva lasciato a disposizione di ogni famiglia in cui si poteva giocare a fare il giardiniere. Uno svago, per distrarsi dalla solita incertezza temporale.

Del terremoto mi è rimasto il senso di impotenza, ma anche l’adattabilità e la volontà di ricercare una soluzione rapida, cosa che non sempre concorda con quella più facile, e dove la rapidità non giustifica l’inefficienza. Mi è rimasto lo sconforto per le debolezze dell’animo umano, ma anche un’esperienza di analisi per le vite osservate così da vicino, senza filtri, a nudo di ogni riparo formale. Mi è rimasta la decisione di essere me stessa sempre, con i miei difetti e senza cercare di apparire come in realtà non sono. Perché quando ti trovi in una situazione così improvvisa e destabilizzante, vedi cadere tutte le maschere usate per rapportarti con la società, cosa che può portarti allo smarrimento e alla perdita di ogni sicurezza. E mi è rimasto l’attaccamento ai ricordi che ancora mi legano a quella che ero e che mi rammentano ciò che avrei voluto essere se non fossi stata interrotta.

Il terremoto è come un lancio di dadi, puoi solo sperare che non esca il numero che fa vincere il banco. È un sovvertimento dei cicli naturali, perché il tempo non avrà più importanza, tutto verrà vissuto in funzione di una cosa: l’attesa. L’attesa della fine delle scosse, l’attesa di ritornare a stare in casa propria, l’attesa di una normalità come quella che avevi prima e non di un surrogato che ti dia l’impressione di vivere ancora.

Grazie Cecilia. Il tuo quadro  In sospeso ben rappresenta l’anima di questo post.

217 pensieri su “Tempo sospeso

  1. É davvero impressionante come il nostro paese,che si sa bene sia sismico,si trovi sempre impreparato di fronte a queste tragedie! Basta guarda anche gli ultimi qui in Emilia e all’Aquila:speculazioni,impreparazione,indifferenza.A Parma ne sono tirati parecchi,per fortuna senza mai le conseguenze disastrose della vicina Modena in cui i cittadini si sono praticamente dovuti arrangiare da soli e trovarsi altre case.Eppure paghiamo fior di tasse,ma quando servono i servizi non ci sono mai soldi! Però per le scorte dei politici saltano sempre fuori…..Prendessero esempio dal Giappone! Un abbraccio 😊

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      • Ci si scopre fragili e indifesi davanti alla forza sprigionata dalla terra,si vede la propria casa,il proprio rifugio in cui si ha tutta la vita,sbriciolarsi come porcellana,ci si ritrova all’improvviso come nudi davanti al mondo,smarriti,con la quotidianità finita per sempre.Quando va bene e non si è perso nessuno che si ama o si è rimasti feriti. E spesso la gente tira anche fuori il peggio di sé andando a rubare il poco rimasto a chi ha già perso tutto. Le case si ricostruiscono,magari non proprio in Italia,ma i traumi restano per sempre.L’importante è comunque avere la propria famiglia intatta e uscirne indenni almeno nel corpo

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  2. quello che dici, che racconti, è la tua storia dura e reale, e condivido in pieno ciò che osservi sul ‘terremoto’. Cominciai a seguire il tuo sito a seguito della lettura dell’altro articolo che menzioni, più o meno allora, perché mi colpi a fondo. Quando penso all’80 perché quello me lo sono vissuto, mi guardo e penso che a me e alla mia famiglia e ai miei cari è andata bene perché vivevo a qualche raggio di distanza, e ho quasi un senso di colpa perché ricordo, ma non ricordo la mia paura in quel momento, e mi sembra così assurdo, mi sembra assurdo non ricordare nemmeno le immagini alla tv, e a volte mi interrogo su questo ‘non ricordare’. E penso a chi, come te, è stata toccata nella vita quotidiana, negli affetti, in ogni cosa più semplice e bella, da questo evento, e resto in silenzio, incapace di pensare oltre. Eppure, fuori da ogni mio non ricordo, mi rendo conto oggi che deve esser scattato in me inconsciamente qualcosa all’epoca perché ho vissuto per anni la mia infanzia a guardare il vesuvio dalla mia finestra terrorizzata come se potesse da un momento all’altro scatenarsi, e ogni oscillazione provocata anche solo dal passaggio di un autobus mi metteva in allerta, come se la terra riprendesse a tremare, quella terra che non si ferma mai. Scusa se accavallo la mia semplice storia, allo spessore del tuo vissuto rispetto a questi cataclismi, ma è il mio modo per comunicarti come arriva il tuo racconto, quello che con consapevolezza ci stai dicendo.
    T’abbraccio
    buona giornata, Dora
    (scusa gli errori, non rileggo

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  3. Non metterò il mi piace non mi è possibile.
    Per me difficile trovare parole quali che siano in situazioni tanto drammatiche come il terremoto dell’Irpinia che ti ha coinvolta e altri ancora di cui per mia fortuna sono stata partecipe solo emotivamente col cuore stretto per quello che vedevo e sentivo !
    Ricordo un documentario di Lina Wertmuller ..
    La partecipazione solidale dei “comuni mortali” c’è sempre quello che viene a mancare e il senso del dovere dello Stato!
    Un discorso lungo che chiudo qui abbracciandoti e abbracciando con il pensiero tutti coloro vittime di questi cataclismi che hanno sconvolto le loro vite.

    She❤ra

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  4. Intanto un grosso abbraccio. Immagino quanti ricordi e paure possano riaffiorare ricordando quel dannato giorno.
    Sarai stata bambina, giusto?
    Io ho (da Padova) vissuto di striscio il terremoto del Friuli (la mia casa comunque ebbe delle crepe nonostante la grande distanza dall’epicentro) e ho vissuto lo sciame sismico di qualche anno fa causa submovimenti appenninici.
    Ma la tua esperienza è infinitamente più forte, e più terribile.

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      • Se eri più piccola, avresti avuto forse maggiori attenzioni e meno responsabilità.
        Certo, già 15enne, ti avranno assegnato dei compiti che certamente avresti preferito non assumerti.
        Credo tu sia diventata più adulta, a causa di quei dannati 90 secondi.

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    • Ero a Padova anch’io quando successe il terremoto del Friuli, ricordo le notti passate fuori casa … ed eravamo lontani dall’epicentro … furono giorni terribili … non dimenticherò mai la paura …

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      • Ricordo che ormai sentivo tremare tutto anche quando non c’erano scosse … una notte che ne venne una molto forte le ante scorrevoli del mio armadio andavano avanti e indietro con una violenza inaudita … aspettai che finisse e poi scesi le scale, era impensabile usare l’ascensore col rischio di restare bloccata all’interno, e passai l’ennesima notte all’aperto … tanti amici friulani erano a Padova all’Università come me, le loro famiglie dicevano loro di non andare a casa … fu un brutto periodo … ma io sono stata più fortunata di chi è rimasto senza nulla e di chi ha perso la vita … 😦 🙂

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  5. Eri giovanne e poi quando siamo ragazzi tutto sembra più pericoloso.. ho fatto 4 diverse esperienze con i terremoti.. e nonostante non riesci gestire la sittuazione quello che ho in questo momento per la testa quello che vorrei fare.. non lo fai perchè sono solo seccondi e in quell momento di passa la vita come un film.. e dificile da spiegare.. ti abbraccio cara Dora bussi Pif♥

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      • E poi ognuno di noi lo sente la cosa al modo suo.. pensi 3 anni fa era qui anche a Verona un paio di giorni direi quasi due 3 settimane le scosse fra leggeri e quelli più forti.. ero seduta qui sulla mia scrivania..eimprovisamente si muovevano le damegiane che ho sul scafalle come lamapade… ma era forte avevo paura che cadano… poi sentivo i miei bichieri di cristallo come se qualche gente brindano .. ero subito strssata per il fatto che qualcosa potrei rompersi 😀 … poi silenzio totale… nemmeno il canto dei uccellini anche tatanka sotto le coperte del letto… poi mi sonava la mia vicina e mi disse odbbiamo lasciare tutti le case.. sta per venire un fortissimo terremoto .. e io ma quando mai si pò provedere??? Sono rimasta in casa nessuna scossa … ma tanti ladri nelle case dei veronesi …

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      • Di scosse così l’Italia ne vive di continuo. Anche a Torino ne ho avvertite, ed è vero che poi ognuno reagisce a modo suo. Quel che differenzia il terremoto dell’Irpinia è l’intensità, la realtà e non l’interpretazione. Pensa che secondo la scala Mercalli è stata del decimo grado, mentre invece di solito si arriva al settimo. Il terremoto dell’Aquila è stato secondo la Scala Richter di 5,9 gradi, mentre quello dell’Irpinia ha raggiunto il 7. Non è stato un banale terremoto, ma qualcosa di tremendamente distruttivo, qualcosa che ti annienta oltre che spaventarti. Una cosa che non auguro a nessuno… Un conto è avere la padella che brucia sul gas, ove ognuno reagisce secondo i propri nervi e prontezza, un altro è invece è avere a che fare con un incendio, dove se sopravvivi lo devi solo alla sorte…

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      • Era nei anni 72 eravamo a Seebenstein nella Austriainferiore credo che era nel periodo di pasqua e li ea un terremoto fortissimo quasi 8 sulla scala richter.. sono crolati casa .. mio padre mi peso e si buttava su di me .. era un caos e un panico totale.. ho pocchi ricordi del terremoto ma mi ricorda dalla gente che piangeva e supplivavano Dio..

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      • Io rispetto molto la natura… alla fine lei e la nostra madre e ci da da vivere.. se lo tratiamo male, lo fa comew tutte le mamme ci punisce 😉

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      • infaatti siamo noi responsabile la maggior parte… ma io preferisco vedere la pachamama (madre terra ) come una madre che ci punisce quando essaggeriamo 😉

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      • io sono anche un pò sognatrice.. e mi dipingo il mondo più sereno che possibile.. anche se la realtà e diversa… 😉

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      • Questo periodo natalizio.. non scrivo nulla di negativo.. credo le cose negative sono già più che bisogno… almeno qui nel mio blog evito la negatività 😉

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  6. Hai reso eventi e stati d’animo con grande bravura, ma a parte questo, arrivo a dire che il tuo post ha una sua utilità: a ricordare a tutti, e quindi sensibilizzare su un passato in agguato pronto a ripetersi.
    Individualmente poi, ciascuno di noi, ha modo di riflettere sulla vita propria e altrui, per rendersi conto – se non è stato toccato da certe esperienze – della propria fortuna e prendere atto delle capacità a superarle di chi quelle certe esperienze ha subito.
    Il tuo ricordo diventa condivisione, e non pianto ma stimolo di vita per la vita. 🙂

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    • Cecilia, prima di tutto voglio ringraziarti per il tuo quadro, perché ben esprime il senso di questo post: il tempo frenato e che non ha mai ripreso a scorrere come prima.
      Se posso darvi lo faccio volentieri. Condividere ciò che si è appreso porta alla comprensione e alla crescita 🙂

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      • Lo sai che i miei quadri sono a tua disposizione e questo quadro è a me molto caro. Ci sono proprio momenti della vita in cui ci si sente in questa dimensione di sospensione. Tutto è fermo quasi come se non ci appartenesse più né il passato né il presente.
        Ma ci si risolleva e si è poi più ancora forti.
        Ti abbraccio tanto cara Dora.

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  7. Sono nata nel 1980. Quello che racconti l’ho solo visto in TV in qualche immagine di repertorio o letto in qualche asettico articolo scritto per ricordarne l’anniversario. Le tue parole invece non lasciano scampo: inchiodano la mente e attraversano la pelle. Grazie per aver contribuito a nutrire quella memoria collettiva tanto preziosa e così spesso trascurata! Un abbraccio.

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  8. E chi se li scorda quei minuti angoscianti… si potrebbe scrivere “indimenticabili” ma indimenticabili dovrebbero essere solo le cose belle, invece il ricordo di quei minuti di bello ha solo la fortuna di esserci ancora e di non essere tra quei 3000 morti.

    Novanta secondi per vedere tutta la vita trascorsa scorrere come un film nella mente unitamente alla percezione del momento attuale, gli scricchiolii dei muri, i soffi di un vento che vento non era ma chissà cosa era, vetri che si rompevano, prendi qualcosa da mettere addosso e appena si ferma scendi dal quinto piano con l’ansia di non riuscire ad arrivare giù, il bambino in braccio, la pappa dimenticata sul fuoco, torna sopra a spegnere, via in macchina verso spazi aperti, due notti in macchina come profughi, poi quindici giorni a dormire in casa ma vestiti e sulle coperte non sotto e mesi e mesi con la paura di nuove scosse, l’ultima significativo ancora in Febbraio ’81… E sono stato fortunato ad averla avuta ancora la casa il giorno dopo, 300.000 persone (tra cui anche tu come leggo) sfollati in situazioni precarie.

    No… non si dimentica…

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    • 14 febbraio 1981. Ero al terzo piano dell’ospedale “vecchio”, un edificio di epoca fascista. Ero lì per mia nonna ricoverata per problemi di cuore.
      Ho avuto l’impressione di essere come una bandierina sventolata in corteo, la stessa sollecitazione. Un movimento a dir poco singolare che non ho più ritrovato in altre scosse. Il mio ragazzo era con me e temendo chissà quale reazione da parte mia, mi tenne stretta e ferma nella mia posizione. Condividere con te questi ricordi è come sentirmi a casa, in un certo senso…

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      • Sì, furono in molti a risentirne. In fondo come non averne vista la grandezza dell’evento? Come avevo scritto sul Fatto Quotidiano, al momento della scossa pareva di essere un moscerino posto su un lenzuolo fatto ondeggiare. Un movimento così innaturale del terreno che porto gli alberi a baciare il suolo senza spezzarsi. Mi sembrò di vivere in un cartone animato…

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      • E il dopo fu altrettanto demoralizzante. Perdere l’intimità, l’identità, dipendere dall’interesse altrui e dover dire pure grazie. Senza contare le umiliazioni e il sottostare a regole che non avevano nulla di socialmente utile…

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      • Non mi stancherò mai di ripetere che un problema è grande per chi lo vive e non per chi guarda da fuori. Non svalutare ciò che hai vissuto e provato. Certamente esisterà sempre qualcosa di peggio che siamo riusciti a scansare, ma non per questo meno meritevoli di attenzioni… Certo, non è stata una bella esperienza, ma almeno possiamo raccontarla affinche altri ne vengano a conoscenza… In fondo io mi giudico fortunata per ciò che ho vissuto, perché considero tutto come una ricchezza che non tutti hanno… posso dire: io so!

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  9. Fortunatamente non ho mai vissuto questa tragedia ma l’hai descritta così bene. Penso che spesso vengano notati solo gli aspetti pratici senza calcolare le emozioni. Condividere spazi con altre persone e perdere la propria intimità oltre allo choc dell’evento stesso sono situazioni che mettono a dura prova. Penso che in quei momenti ognuno è “nudo”, le maschere cadono e ci si confronta con il proprio io.
    Buona settimana cara Dora.

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  10. Stamattina dopo che ti ho letto, ho riposto nelle bozze un’altra cxxxxxx che avevo scritto e ho fatto altro. Sono andata a spulciare e ho trovato una cosa e l ho postata. Come ha detto Guido bello condividere e dare un significato,un messaggio, una emozione. Lo fai sempre, almeno per me,ma oggi ho sentito quasi il bisogno di affermare, di manifestare ciò che mi hai fatto provare. Dato che non son brava con le parole, ho lasciato solo una traccia. Grazie

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  11. Capisco le tue sensazioni, perché essere in mezzo al terremoto fa comprendere molte cose.Io ne ho vissuti tre, anche se non drammatici come il tuo.Però le sensazioni di essere scosso come un burattino di legno segna molto lo spirito.
    Dolce serata

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  12. Le parole di Dora e le pennellate di Cecilia ormai nota al mondo come Cilla, la Scilla del Nord! Davvero emozioni doppie che si rincorrono… massimo rispetto per il tuo vissuto che avevo già intravisto su ilfattoquotidiano.

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    • Sì, emozioni doppie che si rincorrono, hai detto bene. E di Cecilia ormai non riesco più a fare a meno. Sento le sue emozioni come mie.
      Tu sei stato uno dei primi ad aver letto il racconto sul Fatto Quotidiano, quando non avevo ancora capito di cosa avrei parlato e come in questo blog… Il tutto è venuto fuori pian piano ed ha preso posto da sé

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  13. Leggere i tuoi post, Dora, è come ricevere una lezione di vita, speranza e riflessione.
    Pur non avendo vissuto tale l’esperienza, se c’è una cosa che mi terrorizza è il terremoto: la sua imprevedibilità, la distruzione che lascia, quello che si porta via.
    Un abbraccio 🙂

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    • Però il terremoto insegna anche che se ben costruite le case non crollano. Certo, dipende anche dalla scossa, ma in linea di massima le cose ben fatte resistono. La mia per esempio non è crollata, anche se inserita nel centro storico della città, perché ristrutturata da poco. Fu dichiarata inagibile, ma non pericolante, e più di una volta mi ci sono recata per recuperare cose o anche azzardare l’uso della macchina per cucire. Era per me una sfida ogni volta in cui ci entravo, provavo un misto di paura e superiorità insieme. Mi sentivo una tosta perché in confronto alle ragazzine della mia età mostravo coraggio e maturità, ma in cuor mio sapevo che poteva essere un azzardo. E quasi avevo timore a fare mosse brusche per l’idea di una instabilità che si sarebbe potuta manifestare. Credo che in ogni situazione così particolare della mia vita ci sia stata una sorta di comoda convinzione che mi ha aiutata a superare le paure: non era ancora arrivato il mio momento, perché ero nata per uno scopo ben preciso e non per finire così improvvisamente… Una giustificazione che tutti noi cerchiamo e che a me ha dato la forza di superare anche grossi traumi…

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  14. Eh si. Credo sia stato un episodio molto forte da affrontare e superare… per i sopravvissuti. E certo che per l’età che avevi nn potevi che trovare anche degli aspetti positivi… ti era stata distrutta la casa ma nn la tua immaginazione. Io nn ero ancora nata e nn posso ricordare… ma alcune persone mi hanno a cennato e altre mi hanno raccontato d un dolore che ancora si portano dentro.
    Almeno tu…. oggi ne sei testimone 🙂 smack

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  15. E’legge di natura anche essere capaci di narrare della propria esperienza. E’legge di natura pure che l’individuo ricostruisca se stesso, anche dopo il peggior cataclisma. Il terremoto della valle del Belice mi ha solo sfiorato, però ho fatto in tempo a farmene cullare dalle scosse impertinenti. Un mistero affascinante per un ragazzino di 12 anni allora, come anche tutte quelle rovine e le anime vaganti senza un’apparente ragione, se non quella della mera sopravvivenza. Grazie infinite a te per avere dato corpo ed emozioni proprio a quell’apparente assenza di ragione…
    Un abbraccio di cuore e più che mai complimenti: sei la prova provata di come le grandi catastrofi possono aiutare a crescere nonostante le perdite gravi…..

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  16. Direi che ormai i tuoi scritti e i quadri di Cilla sono quasi un tutt’uno…non si sa bene chi abbia ispirato chi 😉
    Nei tuoi scritti oltre a pezzi di te che ci fanno sempre più conoscere una donna che amiamo e stimiamo trovo sempre spunti interessanti di riflessioni…pensare a come nell’emergenza del terremoto e nella necessità di trovare soluzioni efficienti e veloci, ognuno metta a nudo e allo scoperto la sua essenza più intima…non ci avevo mai pensato, ma dalle tue parole sono emersi dei quadri di quotidianità così vivi come se ci si trovasse immersi.
    Anche tu cara Dora hai davvero una capacità pittorica con le tue parole.
    In sospeso di Cilla è intenso, bello, profondo, più che mai vero …chi non si è mai trovato accanto a un orologio così difficile da decifrare?
    Un abbraccio ad entrambe!

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  17. Senza dubbio un’esperienza che, oltre a sovvertire ogni ordine delle cose, capovolge tutta una vita e l’unico rimedio è quello di riuscire ad uscirne il più possibile indenni, come hai fatto tu.
    ùSto facendo una panoramica di coloro, il cui blog, è stato citato sul libro ” l’ultimo Abele ” Di Massimo della Penna,
    Ciao

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  18. Eh.. La natura fa paura a volte e quando si ribella…. Quella bambina ora é dibentata una donna che ci racconta coinvolgendoci tutti quei fatti… Io ho vissuto terremoti solo lievissimi o di rimbalzo, passami il termine, tipo quello dell’aquila… Non posso capire ma posso immaginare quando perdi tutto cosa si puo sentire…. Un bacio!

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  19. It’s difficult to have senseful words for such tragedy. It’s impossible to imagine a tiny bit of how it affected people’s lives, I read your words and I understand that you are a true SURVIVOR.

    Baci

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