Risposte che non avrò per domande che non farò

Osservavo i suoi movimenti impacciati, chiedendomi se la decisione di sedersi e prendere fiato le sarebbe stata necessaria. “Ecco, adesso si mette a piangere, mi abbraccia, e tra un singhiozzo e l’altro mi confida quanto sia stato difficile vivere senza di me”. Ma rimase solo un’ipotesi, un pensiero desiderato e anche temuto, per l’affetto che mi avrebbe richiesto e che non ero pronta a darle.
Continuò a muoversi e a cercare quelle benedette fotografie, girando su se stessa, tra i suoi ricordi. Ma dove le aveva messe? Perché era così importante trovarle in quel momento? Forse quell’incontro non avrebbe avuto seguito e voleva darmi un ricordo di sé?
Ma perché pensava a quella mia visita come ad un qualcosa che non si sarebbe ripetuto? Non lo voleva, forse, quanto me? Ed io cosa volevo veramente? E cosa avrei dovuto dire, invece di starmene cortesemente in silenzio?
Mi ero presentata alla sua porta dopo tanto tempo. “Mi riconoscerà?”, mi ero chiesta tra la curiosità e la sfida. E mi vedevo bambina che giocavo a nascondino. L’avrei sorpresa e rallegrata. E di sicuro la sorpresa era stata tanta se continuava ad agitarsi senza mai abbracciarmi.
Da piccola avevo pensato a lei senza ricordarne il viso. Il suo profumo, la sua voce, rimanevano un sogno, una fantasia. I suoi pensieri, poi, erano sempre stati un mistero impossibile da scoprire.
Quante furono le notti in cui l’avevo pianta? Non so dirlo, ma furono tante. Un magone mi saliva su da dentro, demolendo la mia sicurezza. E per non cadere mi aggrappavo ad una speranza. Lo dicevo alla mia bambola dai capelli neri come i miei, il viso tondo e gli occhi di una verde tristezza. Lo dicevo a lei e lei soltanto che un giorno l’avrei ritrovata e gridato: “Mamma, mi sei mancata!”

E l’avevo cercata, infatti, dopo anni dal lontano risveglio fatto di ombre e ricordi pungenti. Un giorno in cui ero rinata in un mondo nuovo. L’avevo cercata per dirle delle mie paure, delle mie speranze. E le avrei chiesto di far parte di me, della mia storia.
Per troppo tempo ero vissuta solo dei miei dubbi, delle mie fantasie e di indefinibili ritagli di vita.
Per troppo tempo la polvere aveva nascosto la mia presenza e le mie domande.
Ora ero lì con lei in un luogo mai vissuto, in una vita mai avuta, e avrei potuto chiederle e dirle e abbracciarla, ma non si soffermò sulla mia essenza, non mi scrutò, non si avvicinò. Non mi guardò negli occhi cercando verità sconosciute. Non mi chiese parole diverse da quelle che voleva sentire. Era muta di gioia e di dolore, e muto era il suo viso che dalla mia parte non si volgeva neppure. Come fu sterile quel primo incontro, privo di disperazione, di tormento, di amore. Come era stato vano il progetto che ne avevo fatto, intriso di mere illusioni.
Ora che finalmente l’avevo raggiunta, portandole in dote il mio tormento, lei mi scansava blandendo argomenti che allontanavano da noi.

Ho ritrovato mia madre dopo venti anni. Mi aveva data via, quando di anni ne avevo tre, per motivi che non sto a giudicare. Di sicuro deve aver scelto la strada che le era parsa la migliore. Per anni non ha saputo e non mi ha cercata, neppure di nascosto né per terze persone. Forse mi ha messa da parte nei suoi pensieri per non soffrire sentendo la mia mancanza.
Sono cresciuta ricordando qualcosa a cui non potevo dare una collocazione, che non riuscivo ad identificare né come sogno né come realtà. Dei ricordi in cui la vedevo, e con lei i miei fratelli, la mia casa e la vita che avevo avuto. Ma non esisteva modo di dare una risposta ai miei dubbi, perché non potevo chiedere se fossero solo mie fantasie. Le anime che mi stavano intorno, la mia nuova famiglia, non volevano parlarne, per timore di perdermi. Credevano che se avessi scoperto quale fosse stata la verità sarei scappata, per cui mi hanno cresciuta imprigionata al dovere del silenzio, come un cucciolo al guinzaglio. Ho accondisceso alle loro necessità covando nel cuore amarezza, solitudine e confusione. Non mi davo pace, avrei voluto sapere, capire, chiedere, ma non conoscevo alcuno a cui fare domande.
Così gli anni sono trascorsi e alle domande ho risposto da sola. Ho indagato, rubato pensieri e carpito parole proibite, il tutto per potermi collocare in questo mondo. Ma c’è un dubbio a cui per anni non ho saputo dare una risposta, una perplessità più che un quesito. Mi stupivo, infatti, se scorgevo lacrime per la perdita di un bambino, e mi chiedevo come fosse possibile sentirne la mancanza se lo avevano conosciuto così poco. In fondo io avevo tre anni quando hanno deciso di poter fare a meno di me. Questo perché tre anni son pochi per innamorarsi di una persona, ed un bambino, poi, lo si conosce ancor meno dato che non ci si può neppure conversare in maniera interessante. Perché quindi soffrire così tanto? Non comprendevo, ma qualcosa di stonato cominciavo a vederlo nella mia convinzione. Nonostante ciò, ci sono voluti anni perché ne afferrassi il significato. Cosa che, invece di divenire un supporto alla crescita, mi scaraventò in un abisso chiamato abbandono. Quindi mi avevano abbandonata volutamente? Si erano disfatti di me perché non mi avevano mai amata?
Negli anni che ne sono seguiti si è insinuata in me una certezza che non mi ha lasciato alternativa, inducendomi a dare il mio affetto senza riserva né aspirazione al guadagno. Ero come un cucciolo preso per strada, grato e fedele, onesto fino in fondo. E, come se ciò non bastasse, la paura di perdere le persone amate diventò pian piano quasi un’ossessione.

Dopo venti anni dall’adozione, mi son messa a cercare mia madre. E quando l’ho trovata sono andata da lei serbando nell’immaginazione i giochi fatti con la mia bambola da bambina, dove io ero la madre e lei la figlia. Il caso ci faceva incontrare e l’amore ci permetteva di riconoscerci. Da lì lacrime di gioia e mielosità a non finire.
Purtroppo tutto è rimasto nella mia immaginazione, e le poche certezze si sono infrante, disarmando ogni mia speranza. In lei non trovai due braccia accoglienti e protettive, da lei non sentii parole d’amore né rabbia per una scelta a cui era stata obbligata. Quel che ne ebbi furono parole di difesa, per se stessa e per la sua impotenza, il tutto corredato da commiserazione personale e visione unilaterale di ciò che era avvenuto.
Tra noi non c’è stato un solo incontro. Dopo quel giorno abbiamo condiviso tanti giorni. Ci siamo conosciute e affezionate, condividendo pene e gioie. Non le ho mai posto le mie domande perché sapevo che avrebbe interpretato le mie parole come un’accusa e la sua sarebbe stata solo una difesa. Ormai i giochi erano fatti e con un po’ di attenzione sarei riuscita a trovare da sola le mie risposte.
Da quel giorno lei mi ha chiamata figlia ed io mamma, ma non ho mai compreso quale fosse il vero significato di quella parola.

96 pensieri su “Risposte che non avrò per domande che non farò

  1. Si dice molto spesso che i bambini sono forti, che sanno superare tutto. Ma forse è ciò che gli adulti vorrebbero credere, per auto assolversi dall’aver procurato loro dolore. O forse è davvero la legge della sopravvivenza che porta il cucciolo ferito a esprimere la gratitudine a chi se ne è presa cura. È un percorso che non oso immaginare quanto doloroso sia, il vivere in silenzio la nostalgia, il tormentarsi con mille domande prive di risposta. E poi giustamente arriva il momento che quelle domande non è più necessario farle. Perché l’amore è riuscito ad andare oltre il dolore e con questo non vuole più confondersi. Brava, molto brava. È molto struggente, oltre che molto vero. Grazie. CIao, Piero

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  2. Lo trovo così spiazzante, sprattutto per come è raccontato, con quella quasi piattezza che rende impersonale l’io narrante. E dunque distaccato. Forse il distacco dovuto dagli anni. Ma di certo quel che ne vien fuori è il ritratto di un’umanità confusa, spiazzata, sradicata: quando gli stereotipi vengono meno si rimane sempre un po’ più estranei. Non è vero che l’amore di una madre sia sempre il massimo tra due individui. E’vero che non sempre funziona il richiamo del sangue. E in questo racconto si sente in un modo incredibile, tanto da lasciare sullo sfondo motivazioni e domande che forse rimarranno avvolte nel buio…
    Bellissimo.. e toccante
    Un caro saluto ed un fiore….

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  3. Io non potrei immaginare la mia vita senza mia madre: per me è stata la figura fondamentale della mia vita,e la sento presente anche adesso che purtroppo non c’è più. Come non potrei fare a meno di mio marito e dei miei figli.Non sono mai riuscita a capire chi abbandona i figli….per me non esistono motivazioni di nessun tipo: un bambino ha bisogno dei genitori,soprattutto della mamma.É un legame che si crea quando si è ancora nel pancione.Credo che siano scelte egoistiche che non tengono conto del trauma che si provoca a un bambino perché quasi nessuno conosce la psicologia infantile.E in troppi non se chi è pongono il problema.Da educatrice e insegnante ho potuto vedere la cosa di persona:sono traumi indelebili che segnano per sempre la vita di una persona lasciando una profonda cicatrice.Prima o poi chi è stato abbandonato cerca sempre le proprie origini per sapere chi è.Troppo spesso rimangono delusi

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    • Le motivazioni possono essere tante, dipende dai casi, e magari la parola abbandono non è quella giusta, perché con quell’atto si ritiene di aiutare il bambino. Quel che proprio gli adulti non vogliono capire è che il bambino è una testa pensante e non gli si può propinare bugie senza che queste poi caschino provocando danno…

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  4. Non ci possono essere giustificaziomi di abbandono per una madre ,non ci sono parole adatte per il dolore e la solitudine che ti avranno accompagnato in questi anni….ma forse per l’avvenire si.La vita non sempre ci regala gioia eppure e cosi facile ognuno di noi lo desidera.Ti auguro di farti una vita tua e magari di un figlio tuo da rifarti per ciò che hai perso…con naturalezza solo per amore .Un abbraccio affettuoso da una sconosciuta mamma e nonna.
    Caterina

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  5. Ammiro il tuo coraggio di scavare a fondo, pur sapendo che non avresti trovato nulla di familiare. Mi permetto di esprimere il mio pensiero sulla tua ultima frase. Questa donna sarà per sempre tua madre, colei che ti ha messa al mondo ma, purtroppo, non sarà mai la tua mamma. Mamma lo è la persona che ti ha vista crescere, che ti è stata complice e amica, e che ti ha amata aldilà del patto di sangue. Questo non significa che il vostro sentimento non potrebbe mai sfociare in amore vero, potrà anche accadere, ma ci potrebbe volere del tempo. Ti abbraccio forte!

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  6. Quando dici di non aver compreso il significato della parola mamma credo che ti sbagli,nelle tue parole leggo sempre molta consapevolezza e amorevolezza che la tua madre naturale non ti ha dato.
    Probabilmente la tua vera madre,colei che ti ha cresciuta,ha saputo fare un buon lavoro.
    Non voglio essere eccessiva ma forse è stato meglio cosi,perchè è sicuramente migliore avere una madre che ti ama e non una che non ti aveva mai voluta infondo,chissà quanti risentimenti o altri sentimenti negativi avrebbe potuto riversare su di te.
    Secondo me capiresti davvero cosa vuol dire la parola mamma diventandolo a tua volta (potresti già esserlo ma io non ne so niente,vabbè), sono sicura che in quel momento capiresti davvero che vuol dire.
    Ok,smetto di parlare e me ne vado….adieu…

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      • Ne ero convinta! Ho visto la stessa cosa su mia sorella,da quando è diventata madre è più consapevole e non cerca più di farmi da madre nel modo sbagliato che ha sempre usato xD
        Meno male che la bambina la tratta bene 🙂

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      • ahh grazie! Sei sempre cosi gentile!
        Io mi sono incasinata da piccola tra mia madre e mia sorella (visto che ci passiamo sedici anni lei ha sempre cercato di farmi da madre) e sinceramente solo adesso sto capendo un pò delle figure genitoriali in casa mia.
        Certe volte davo più ascolto a mia sorella che a mia madre.
        “Quando diventi grande non devi fumare,mi raccomando” mi ripeteva mia sorella che nonostante fosse una ventenne era molto responsabile.
        Forse proprio per colpa sua sono cresciuta cosi ribelle,perchè vedevo anche in lei che doveva comprendermi di più vista la minore differenza d’età (con mia madre mi passo…trentotto anni) un muro fatto di rimproveri e raccomandazioni.
        Starò attenta che non faccia lo stesso anche con sua figlia,ma la sto vedendo cambiata da quando la cucciola è nata quindi spero bene!
        Un salutooo ❤

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  7. Buongiorno, fin dalle prime parole ho immaginato che fosse una storia sospesa, e non intendo dire incompiuta. Ed è troppo intima per poterci entrare nel merito, come non è per niente facile capire a fondo certi meccanismi di autodifesa e/o di adattamento a delle situazioni “tabù” nessuno vorrebbe vivere o aver mai vissuto. Si può solo ascoltare… E forse anche la stessa condivisione é terapeutica e riesce a smussare ulteriormente gli spigoli taglienti del proprio vissuto. Io, egoisticamente, mi limito a fare il lettore e non posso che apprezzare questo brano ( che potrebbe essere anche diversamente definito) per il suo stile deciso, efficace: bello.

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  8. Ti ho letta tutta d’un fiato, quasi sospesa…sono rimasta colpita, toccata, spiazzata e ammirata. Forse dalla tua pacatezza e da una sorta “di non giudizio”, di grandezza nell’andare oltre a non chiedere, a non colmare i tuoi dubbi e le tue domande…mi è piaciuto, sei intensa!

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  9. Senza parole, dalle poche cose che ho letto resto allibito dalla tua capacità di descrivere attimi, emozioni, amore, dolore. Veramente parole che trascendono questo mondo per entrare nella profondità della vita 🙂

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  10. I bambini sono forti perché sopravvivono. Superare, non superano niente. Anzi, si portano tutto dietro/dentro. E questo fa il loro carattere da adulti.

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  12. Non è facile commentare questa nota, l’ho letta giorni fa ma non sono riuscito a scrivere niente e non credo di riuscirci adesso. Molto toccante, ben scritta, posso dire solo questo, qualunque altra cosa sarebbe fuori posto, a mio umile parere.
    Grazie per la condivisione di una cosa così importante.

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  13. Quando racconti di questi tuoi sentimenti e pezzi di vita, è una cosa ‘forte’ per me che sono sorella e mamma adottiva. Come genitori adottivi siamo sempre a camminare su un filo. Loro sono arrivati già ‘grandi’ (il più piccolo aveva praticamente sette anni quando è arrivato qui, oggi ne ha dodici e mezzo) e quindi certi problemi di silenzio non si sono mai posti, ricordavano benissimo tutto e in qualche misura sono stati persino protagonisti della scelta di provare con la ‘nuova’ famiglia. Ma ovviamente se ne sono posti altri. Capire, sentire su di sé le loro ferite a l tempo stesso trovare il modo per insegnargli a guardare avanti, consapevoli che le cicatrici non si cancellano ma che un giorno, se lo sapranno fare, le renderanno parte della loro forza, della loro unicità, di quello che sono, senza che il dolore cancelli le cose belle, come qualche volta ancora avviene (raramente per fortuna). E tutta la delicatezza che occorre nell’affrontare temi di cui loro avrebbero bisogno di parlare nel modo più naturale, più spontaneo possibile, mentre noi siamo in bilico tra il dover ‘salvare’ i loro genitori ‘naturali’ in qualche modo, e tante cose le sentiamo sulla pelle e fanno male anche a noi. Non è sempre facile nascondere quello che proviamo, me lo avevano anche detto negli incontri post-adozione, ‘certe cose le si leggono in faccia, stia attenta’. Ma il problema è che la faccia che ho è questa. E un giorno ti accorgi che i bambini, i ragazzi, queste cose le vedono con chiarezza e ti amano nonostante questo o proprio per questo. E’ un percorso lungo, difficile e irto di ostacoli, ma un percorso vivo e con del momenti di bellezza incredibile.
    Alexandra

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    • Devi solo sostenerli e rispondere alle loro domande con ciò che sai e pensi, poi faranno il loro percorso e le scelte che desiderano. E saranno forti perché tu darai loro forza con la tua presenza. Cresceranno sicuri se li aiuterai ad essere consapevoli di ciò che sono. Io la mia sicurezza l’ho dovuta conquistare, e non solo per l’adozione. Ho praticamente dovuto rubare ogni attimo di libertà di vivere… I tuoi figli saranno liberi di vivere e per questo ti saranno grati.

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