A chi vuoi più bene? Chiedono i nonni ai nipoti, in odore di rivalità con la parte avversa. Il bambino viene praticamente messo con le spalle al muro e interrogato con finto distacco. Lo si fa passare per uno stimolo di crescita, una tappa comune, un esame da superare per raggiungere un fantomatico premio. Ed egli risponde, perché non ha idea di cosa possa scatenare la sua rivelazione. Agisce d’impulso, a volte riferendosi all’ultimo regalo ricevuto, alla risata più sonora o al tempo trascorso insieme. Non fa ancora distinzioni, perché vuole bene a tutti, ma sa che ognuno è diverso così come è diverso il suo amore.
E ai nonni si aggiungono i genitori, gli amici e perfino la gente incontrata per strada. Tutti bisognosi di quella sua scelta, risoluti ad ottenerla per avere qualcosa da commentare e da cui dedurre le più svariate teorie.
Ma lui non vive di questa prerogativa, non si preoccupa di classificare né può rendersi conto di un’esigenza vitale che è solo degli adulti che gli stanno intorno, tutti lì ad ascoltare e sperare di esser nominati come preferiti. E se per caso non rientrano tra i vincitori, vedono il loro mondo cascare e le loro certezze andare in frantumi, alimentando in se stessi la diffidenza nei confronti del giovinetto e dei suoi reali affetti, tanto che, anche se questi ripeterà ogni giorno “Ti voglio tanto bene!”, lo guarderanno comunque con sospetto, sempre pronti a rinfacciargli la graduatoria di cui non sono stati i primi.
Ben presto il malcapitato si rende conto di aver fatto un errore pesante, lo comprende dagli sguardi intrisi di tristezza ostentata e rinfacciata. Ed è così che anch’egli entra a far parte di un meccanismo senza fine, di un’esigenza vitale, per l’appunto, che diviene anche sua. E comincia a chiedere una scelta a sua volta, una decisione repentina e duratura da confermare a scadenze obbligate. Passando dalla rivalità con i fratelli alla diffidenza per un amico, dall’incertezza in amore al timore di non divenire mai il preferito di qualcuno.
Quanto poco ho sopportato questa frase da bambina. Era un continuo chiedere e supplicare. E, nonostante lo sforzo di accontentare, ne seguiva un’altra ancor più molesta: “E dimmi, quanto mi vuoi bene?”.
Ahahah si si ci so passato a chi vuoi bene, quanto mi vuoi bene, a chi somigli di più, e via così interi pomeriggi fino a quando un cuginetto mi salvava da questa morsa infernale
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:-))
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Adesso mi dici la verità… qualcuno ti ha parlato della mia infanzia? Divertentissimo post! Quanto mi rompevano con queste domande! Ma non erano tanto i nonni quanto gli zii… che si contendevano il mio affetto. Però imparai presto a gestire la situazione, soprattutto a Capodanno, quando mi sarebbe toccata la strenna… allora preparavo il terreno, confidavo a ciascuno dei contendenti che volevo più bene a lui ma che avrei dichiarato pubblicamente il contrario solo per spillare i soldini… ci credevano tutti… 🙂
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Ah, lazzarone! 😉
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I bambini di oggi hanno imparato la diplomazia. Troppo furbi.
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Sono più svegli…
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Quanta verità in questo articolo… 😉
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🙂
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Io rispondevo sempre “a nessuno” e tagliavo la testa al toro! 😀
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Pragmatico!
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Da questa semplice domanda iniziano i problemi della crescita…inizi a capire come funziona la vita e chi ti devi accattivare…ed arrivi, da grande allo scambio di voti elettorali…che tristezza…molto arguto, Dora…. 😉
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E’ una cosa che non ho mai tollerato! Di solito cerco di non prendere posizione evidente, ma in questo caso non posso farne a meno…
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Infatti sono domande che non si dovrebbero mai fare…
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Gli adulti le fanno perché hanno bisogno di conferme, di riconoscimenti e anche di sapere… Il bambino è ingenuo, dice la verità, la sua verità. Non si dovrebbe mai imporre a un bambino (ma neanche a un adulto) una scelta affetiva.
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Infatti concordo in pieno con te. Sono domande di un gioco che fa grossi danni..
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Già!
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Nel dialetto che si parla qui si chiede ai bambini una ròba orènda tipo: “… e dimmi, tu di chi sei? Sei del papà o della mamma?” Cioè, già sto fatto che si rimarca la questione terrificante del “possedere” un bambino, nemmeno fosse una proprietà privata, o un oggetto da contendere, a me ste domande mi han sempre fatto cadere in uno stato catatonico imbevuto di dubbi e incertezze. Insomma, io cadevo in meditabondo stato di catalessi e non rispondevo neppure. E mi rendo conto a volte che anche nel linguaggio comune sto fatto del possedere l’altro, di rivendicare dei diritti su di lui/lei, nemmeno fosse una proprietà equiparabile a un’automobile o simili, mi infastidisce sempre moltissimo e ancora. A me dà fastidio pure quando sento espressioni tipo “il MIO uomo, MIA moglie, la MIA compagna”. Non so, a me pare che nessuno è proprietà di nessuno e che tutti dovremmo rispettare la libertà di essere liberi dal senso pervasivo di possesso. L’amore per un figlio, per un compagno o altro non ha nulla a che vedere con il senso di possesso, perché il possesso è egoistico, mentre l’amore, di qualsiasi tipo, non può avere nulla a che vedere con l’egoismo. E lo so, forse sono andata un po’ fuori dal seminato, ma magari nemmeno poi tanto.
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Il tuo sfogo ha motivo di esistere…
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nessuno , nella mia gotica famiglia, gotica sta per folkloristica, è più elegante,mi ha mai posto questa domanda: eli ringrazio tutti, di cuore! ciauuu
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Meglio così!
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Ci vorrebbe un corso di 5 anni per i futuri genitori. Senza il diploma niente figli. Si fanno corsi per ogni tipo di attività ma per la cosa più importante per il futuro dell’umanità non si fa niente.Tutto viene lasciato in ballo degli istinti primordiali, ma un essere umano non è una scimmia o un peluche da coccolare. Quante tragedie, quanti errori potrebbero essere evitati. Bambini, neonati dimenticati in macchina, muoiono arrestiti dal sole, ma cosa avevano in testa di più importante questi genitori per dimenticare un figlio come fosse un oggetto?
Di certo se dimenticano il cellulare se ne accorgono e tornano indietro a recuperarlo.
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Buona vita. Tony
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Buona vita anche a te!
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Io chiedevo insustentemente a mia figlia – Tu di chi sei? – E lei mi rispondeva sempre – Tua! – E mi abbracciava.
Un giorno (frequentava la prima elementare) le rifeci la domanda è lei senza pensare più di tanto mi rispose – Sono di me stessa! -.
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Scusate gli errori ma con il telefono partono gli accenti che è una bellezza…
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Perdonato! 🙂
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La saggezza dei bambini!
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Io non ho di questi ricordi, forse perche’ non importava a nessuno quanto volessi bene ed a chi, non mi curavo molto di queste cose, ero troppo occupata a difendermi da una sorella terribile. Capisco pero’ che neanche l’infanzia e’ stata per molti una passeggiata, ognuno con i suoi piccoli e grandi problemi!
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Ciao Giuliana! L’infanzia è in mano agli adulti dotati di un grosso potere, e che se non usato bene rischia di rovinare delle vite. Anche piccole domande come questa pongono in realtà doveri pressanti…
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