“E se per lui questa casa famiglia fosse diventata l’unico luogo dove sentirsi al sicuro?”, si illuminò l’assistente sociale.
“Mah, a mio parere sta tirando fuori tutta la sua rabbia”, rispose lo psicologo. “Viene da un ambiente violento, e magari ne ha anche copiato gli atteggiamenti”.
“Ma se lo assecondiamo non mostra alcuna violenza. Chiede solo di non andare in nessun posto. E anche quando si mostra incontrollabile, non si è mai scagliato contro nessuno. La sua unica reazione è urlare e scalciare…”
“Ecco, appunto, scalcia mostrando di non capire neppure quello che gli si dice. Quanti anni ha?”
“Nove”.
“Allora non ci sono dubbi: se non è rabbia è malattia. Forse tutte le botte che gli ha elargito il padre hanno provocato danni seri!”, sentenziò gonfio lo psicologo.
L’assistente sociale si voltò a guardare Federico, intento a fare i compiti. Sembrava così normale e intelligente quando gli si lasciava fare ciò che voleva. E cosa voleva poi, se non essere lasciato in pace? Avevano provato a darlo in affidamento, ma dopo due giorni la famiglia lo aveva riconsegnato disperata. Sembrava non esistesse alcun interesse per lui al di fuori di quella casa. Se almeno, però, avesse accettato di interagire con gli altri bambini o di uscire per una passeggiata, una gita. Nulla, da lui non si riceveva alcun cenno di assenso, ed in tre anni neppure lei era riuscita ad ottenere più di qualche grugnito. Aveva provato a spiegargli che ora era al sicuro e che doveva solo pensare a vivere la sua vita, che non sarebbe più tornato da suo padre e che il mondo fuori da quella casa famiglia sarebbe potuto essere anche divertente, ma lui non le aveva mostrato nessuna apertura, nessun coinvolgimento.
In quell’aria satura di congetture, Federico continuava a fare i compiti. Sembrava non mostrare alcun turbamento per l’analisi che si stava facendo delle sue motivazioni. Il suo unico obiettivo era rimanere incollato a quella sedia, a quel pavimento, a quella casa. Per nessun motivo avrebbe mai permesso che lo portassero via.
Suo nonno gli aveva insegnato che i merli, per poterli tenere in gabbia, bisogna prenderli con il nido, quando sono ancora piccoli e ignari della libertà. In questo modo, cresceranno nella gabbia, senza sapere neppure se odiarla o amarla, perché per loro sarà l’unica realtà.
Odiava quella casa e tutto quello che significava, ma preferiva rinchiudersi lì dentro e non conoscere altro. Voleva abituarsi a viverla come se fosse parte di lui.
Temeva quel che c’era fuori perché per lui nulla sarebbe stato definitivo. Aveva paura di provare gioia anche solo per un solo istante, perché ciò gli avrebbe permesso di vedere realtà diverse dalla sua. Per questo, preferiva non avere nulla piuttosto che provare emozioni di cui avrebbe poi dovuto soffrire la mancanza.
Se qualcuno gli avesse chiesto quale fosse il suo desiderio avrebbe risposto: ”Qualsiasi cosa possa essere per sempre!” Ma nessuno glielo aveva ancora chiesto…
Che triste. ..
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Sì, molto…
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